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domingo, 2 de febrero de 2014

L'ultimo tango dell'Argentina che spaventa il mondo… De Alguna Manera…


L'ultimo tango dell'Argentina che spaventa il mondo…


La banca centrale sta combattendo una battagli disperata contro la svalutazione del peso. Servono duecento milioni di dollari al giorno per salvare il Paese dal baratro ne quale sta nuovamente precipitando. Torna l'incubo del 2001: default e sanguinosa cancellazione del debito. Da allora molto è cambiato: gli investimenti stranieri ormai guardano altrove e oggi Buenos Aires è sola.

BUENOS AIRES - L'ingresso della Banca centrale a Buenos Aires è un tempietto neoclassico di colonne bianche non lontano da luoghi molto più carichi di passato e simboli: la plaza de Mayo, la Casa Rosada, la Cattedrale dell'episcopato. È il "microcentro" della capitale argentina, la City. Un reticolo di stradine pedonali dove di giorno è quasi impossibile camminare senza sbattere contro qualcuno ma che, dopo il tramonto si svuota, diventando un labirinto abbastanza pericoloso per l'incolumità del neofita. È qui, nella Banca centrale, che si combatte in queste ore l'ultima guerra d'Argentina, la battaglia del peso. Sostenere la moneta locale dalla svalutazione sta costando alle riserve monetarie del Paese quasi 200 milioni di dollari al giorno. Tanti ne stanno gettando sul mercato i funzionari della Banca per impedire il disastro. Ma, a questi ritmi, è una guerra già persa. Sul campo minato della battaglia finanziaria l'Argentina ha già lasciato quasi 4 miliardi di dollari delle sue riserve nel breve volgere di dicembre e gennaio, l'estate australe da queste parti. Due mesi, massimo tre, dicono gli economisti, e quando lo Stato non avrà più dollari per sorreggere il valore della sua moneta arriverà il crac. Si salvi chi può.

D'altra parte basta dare uno sguardo alle cifre. Il dollaro si scambia sul mercato ufficiale controllato a 8 pesos mentre su quello "vero", parallelo, libero, continua a crescere. Era a undici, poi a dodici, oggi è a tredici. Il 60% di più. Per contenere la pressione, all'inizio della settimana, il governo ha dischiuso l'uscio. Ha svalutato e liberato parzialmente l'acquisto di dollari che era completamente proibito alle persone dalla fine del 2011. Non basta. La fuga dai pesos è ormai un fiume in piena e chiunque ha risparmi cerca di metterli al sicuro nelle monete forti.

Così l'Argentina è tornata a correre sull'ottovolante come alla fine del 2001 quando la crisi precipitò nel default, nella cancellazione del debito estero dei bond (che tanti risparmiatori italiani stanno ancora soffrendo) e in una delle svalutazioni più pesanti della storia. Lo scenario c'è tutto. L'inflazione cresce (+4% solo a gennaio), il deficit fiscale - ossia la differenza fra quanto lo Stato spende e quanto incassa - pure. Mentre i sindacati si preparano al rinnovo dei contratti pretendendo aumenti al di sopra del 30%, ossia l'inflazione reale del 2013. L'altro guaio che confonde la congiuntura è l'immagine di debolezza e confusione del governo.

La Presidenta Cristina Kirchner non c'è. A dicembre è scomparsa per settimane nei suoi possedimenti in Patagonia convalescente per una operazione. A causa di una caduta le si era formato un ematoma nel cranio. È tornata a Buenos Aires solo per andare all'Avana dove, mentre il suo esecutivo tremava, si è fatta fotografare insieme a Fidel Castro e alla moglie dell'anziano ex lider maximo, Delia Soto del Valle. Ha evitato accuratamente il vertice economico di Davos. È nervosa, distratta. Forse vorrebbe addirittura mollare prima di essere travolta dalla tempesta in arrivo. In tv vanno, una volta per uno, il segretario alla presidenza, Capitanich, e il ministro dell'Economia, Axel Kicillof. Provano a mettere delle pezze. Chi compra dollari per la paura del crollo del peso è "un traditore della patria", affermano. "L'ultima svalutazione non avrà effetto sui prezzi", giurano. Altrimenti minacciano multe e sanzioni ai negozi che "speculano". Ma il circolo ormai è vizioso e nessuno sa veramente cosa fare per invertire lo scivolone ormai dietro l'angolo.

Se lo Stato spende i suoi dollari per sostenere il peso, non ne ha per finanziare le importazioni. I supermercati si svuotano, le fabbriche si fermano. La scarsità dei prodotti rilancia l'inflazione. Nessuno vende perché non sa quanto costerà domani quello che ha. Così si favoleggia di container alla rada lontano dal porto pieni di mercanzie che gli importatori non scaricano. Aspettano per evitare di perderci.

Il problema - dice un analista finanziario - è che a Buenos Aires da tempo "il denaro scotta in mano". Una famiglia di classe media che ha risparmi in pesos non sa cosa farsene se non osservare come perdono valore. Non li mette in buoni del Tesoro perché dopo il fallimento del 2001 non si fida. Fino all'altro ieri non poteva neppure cambiarli in dollari perché era proibito. E non può neanche investirli nel mercato immobiliare perché, da quando Cristina ha deciso che le transazioni per l'acquisto di immobili possono avvenire solo in pesos, nessuno vende più. Stagflazione è la parola maledetta. Vuol dire stagnazione economica, crescita inesistente del Pil con inflazione alta. È comunque il destino prossimo dell'economia argentina se i suoi piloti riusciranno a salvarla dal tracollo del default della fine dei dollari nelle casse del Banco Centrale.

In fondo è uno scenario semplice, il governo dovrebbe tagliare, e molto, le spese. Ma non può, senza incendiare il Paese. In questa strettoia da brividi Capitanich e Kicillof si trovano abbandonati dalla Presidenta. Kicillof è un ministro dell'economia molto giovane. Poco più di quarant'anni. Ha assunto l'incarico a dicembre scalzando il suo rivale perché, si dice, ha sedotto Cristina intuendone la psicologia. È piuttosto bello, ma anche un po’ presuntuoso. Kicillof è un simpatizzante di Carlo Marx. Da assistente all'Università faceva lezioni sul plusvalore e sul feticismo delle merci. Ora vorrebbe smentire i manuali d'economia e avviare l'Argentina verso la "fine del capitalismo".

Nuove tormente sembrano inevitabili anche se la differenza con il 2001 è profonda. Questa volta l'Argentina è da sola con i suoi ciclici drammi politico-economici. Si teme un contagio regionale, ma nulla di più. Il Paese della Kirchner è da tempo fuori dai mercati del credito, litiga con l'Fmi e non ha forme per finanziare i suoi debiti. Gli investimenti stranieri se ne sono andati verso la Colombia, nuovo gioiello dell'economia sul Pacifico. Se il peggio deve ancora arrivare la politica già si muove per spartirsi il dopo Cristina. Sperando che non sia così drammatico come si preannuncia. Le elezioni sono lontane, in teoria. Fine 2015. Ma Cristina ci arriverà?

Una variabile positiva, si sostiene nella capitale, questa volta potrebbe essere il Papa argentino. Sui giornali adesso Bergoglio furoreggia per la copertina di Rolling Stone e il disegno nel quale vola come Superman. E c'è perfino un aspirante candidato che attende la benedizione dal Vaticano per lanciarsi nella scalata alla Casa Rosada. È il presidente del Parlamento Julian Dominguez che sogna un movimento alla Solidarnosc, Wojtyla più Walesa, per rimettere a posto il Paese e regalargli un futuro meno tragico.

Poi c'è anche chi se ne va. È triplicato in pochi mesi il numero degli argentini che scelgono di spostare la residenza nel vicino Uruguay. Lungo le spiagge di Punta del Este. Hanno cominciato gli intellettuali e gli artisti come la disegnatrice Maitena, famosissima qui per una deliziosa striscia di comics, e il ballerino Julio Bocca. E la tendenza ha successo. D'altra parte perché restare a Buenos Aires che sarà anche bella ma è sporca, pericolosa, caotica e dall'avvenire incerto? Molto meglio il piccolo Stato riformista di Pepe Mujica. Magari noioso, ma ben governato e accogliente dall'altra parte del Rio de la Plata. Chi non può, e sono naturalmente la stragrande maggioranza, attende intrepido. L'Argentina è sull’ottovolante del suo ennesimo tango monetario e nessuno può prevedere quando e soprattutto come scenderà.

© Escrito por Omero Ciai  el Sábado 1º de Febrero de 2014 y publicado por http://www.repubblica.it/


 

domingo, 29 de septiembre de 2013

El futuro de los medios II... De Alguna Manera...

El futuro de los medios II...

En el artículo anterior me referí al congreso de la Federación Internacional de Prensa Periódica (FIPP), que concluyó en Roma el miércoles último. El contexto de guerra entre los medios de Berlusconi por un lado y los de sus opositores por el otro no podría ser mejor espejo para los argentinos, dado el enfrentamiento del Gobierno con Clarín. Lo que para hacerlo aún más familiar suma al papa Francisco, quien también lleva adelante su propia batalla comunicacional e indirectamente interviene en la pelea de fondo.

En Italia la guerra ya la perdió Berlusconi y la ganó el principal medio de oposición: el diario La Repubblica más la revista L’Espresso. Fue la Corte Suprema de Justicia la que terminó de derrotar a Berlusconi con una serie de fallos que lo condenan por evasión fiscal, por corrupción de menores, y a pagar 500 millones de euros de indemnización justo al dueño del diario La Repubblica y la revista L’Espresso, por haber sobornado a un juez en los años 90 para que dejara sin efecto el derecho de preferencia de La Repubblica/L’Espresso para comprar la mayor editorial de revistas de Italia: Mondadori, que tras esta trampa se la quedó Berlusconi.

Hoy Mondadori –que entre sus varias decenas de revistas edita Panorama, la competencia de L’Espresso– tiene un valor de mercado de 250 millones de euros, pero Berlusconi tendrá que pagar el doble de lo que vale por haberla adquirido ilegalmente. La presidenta de Mondadori es la hija de Berlusconi, Marina, a quien él quiere lanzar como su sucesora política al quedar inhabilitado para cargos públicos.

Panorama y todos los canales de televisión de Berlusconi son de derecha, mientras que la revista L’Espresso y el diario La Repubblica son de izquierda (Berlusconi, al tener televisión, no puede ser dueño de diarios). La implosión de Berlusconi hace que los conservadores italianos hablen de la necesidad de recrear un “centro moderado”, la redundancia es un síntoma de la incomodidad para definirse como centroderecha.

En la galaxia italiana actual, el Papa es visto como de izquierda y cosecha adhesiones de sectores tradicionalmente anticlericales y ateos, como el director y fundador del diario La Repubblica, quien definió a Jesucristo como un gran comunicador, precursor de Twitter por sus mensajes cortos y fáciles, y al propio Bergoglio como su discípulo y continuador.

Sobre la comunicación en tiempos de Twitter trató el congreso de la FIPP, cuyas conclusiones podrían sintetizarse en que lo que verdaderamente cambia es el uso del tiempo y hay una plataforma correcta para cada momento. Por ejemplo, y muy simplificadamente, para recibir información sería: los días laborables, radio a la mañana, sitios de noticias durante el día y televisión a la noche; el papel, sólo los fines de semana. Hay que buscar a la audiencia en la plataforma en la que se encuentre en cada momento.

Los ciclos de compra son lo que se modifica: mayoritariamente antes se cambiaba el auto cada cuatro años y hoy, cada tres; al revés, antes se compraba el diario los siete días de la semana, ahora sólo dos.

La aceleración del tiempo informativo es causa y consecuencia del mejoramiento de todos los dispositivos móviles. Las tabletas y los celulares inteligentes son una revolución comparable a la masificación de las computadoras personales en los años 90. La publicidad en teléfonos se multiplicó por nueve el último año. El video en internet se triplicó.

Cada vez hay más información para la misma cantidad de tiempo de la audiencia y los mismos presupuestos publicitarios, lo que hace inviable que los medios continúen sustentándose con las mismas fuentes de ingreso que hasta ahora. Sólo en 2012 se crearon 51 millones de sitios nuevos en internet. Los contenidos gratuitos serán las informaciones a las que, como commodities, todos tendrán acceso. Los contenidos de calidad serán pagos también en la web.

La otra fuente de ingresos será el e-commerce, donde ya 24% de las compras online están siendo hechas desde celulares inteligentes y Amazon ya despacha 2 mil millones de artículos por día (“piense como retail y actúe como medio” es la frase más repetida).

El desafío se centra en cómo ser rentable sin traicionar el pacto de lectura, en un contexto donde “el cambio es Dios” porque se reinventa todo, todos los días. El contenido es líquido y cambia de un lugar a otro, pero los consultores coinciden en la ecuación 1-9-90 porque sólo el 1% de los que interactúan en internet produce contenido nuevo, sólo el 9% edita (agrega o lo reproduce) y el 90% es usuario pasivo de la web.

El presidente internacional de Hearst, la empresa de medios fundada por quien inspiró a Orson Welles para hacer Ciudadano Kane, sostuvo en la FIPP: “Mantenemos en nuestras heladeras muchos productos vencidos”.

Pero más allá de que la mejora tecnológica de los dispositivos sea exponencial, los algoritmos matemáticos no podrán resolver dilemas de buen gusto o éticos, entre tantos otros. Siempre harán falta interpretadores, analistas y críticos. Ellos serán los protagonistas de la era del conocimiento, la que dejará atrás a la de la información que, por su sobreabundancia, pasará a tener poco valor. Calidad, no cantidad.

Volviendo al papa Francisco, desde la Argentina no se alcanza a comprender la relevancia mundial que alcanza como comunicador. Y cuando todo es comunicación, cuesta creer que el futuro de los medios no pueda ser promisorio para aquellos que quieran y sepan encontrarlo.

© Escrito por Jorge Fontevecchia el domingo 29/09/2013 y publicado por el Diario Perfil de la Ciudad Autónoma de Buenos Aires.